Lux, Simonetta. Arte ipercontemporanea - un certo loro sguardo. Ulteriori protocolli dell’arte contemporanea (Rome: Gangemi Editore, 2006), pp. 414-432.



Eduardo Kac: Interazioni trangeniche.  Corpo e chimere

 

Simonetta Lux

 

Ben prima dell’affermarsi globale del network digitale nella metà degli anni  Ottanta, Eduardo Kac, brasiliano ed ormai americano di adozione, viene riconosciuto come l’enfant prodige di un’arte che egli ipotizza come riunificatrice di esperienza reale ed esperienza virtuale.

Egli opera nel senso di una ibridazione interspecies (naturale, umana, vegetale, animale, minerale), utilizzando processi di spostamento intermediale e interscientifici-intertecnologici (la genetica, la telefonia, la rete web, e gli ambiti della scienza fisica, della creazione artistica, della comunicazione globale).

L’arte chiusa fino a non molto tempo fa nelle sua azioni metaforiche, nei gesti agonici, nelle scelte provocatorie, sembra uscire dal suo guscio teorico e farsi praxis, trasportando con sé tutte le contraddizioni che si intrecciano nella vita dell’uomo contemporaneo che voglia e sappia usare i mezzi che le scienze più avanzate ed i media globali gli mettono a disposizione.

 

L’azione effettiva dell’arte sul mondo, quell’azione che fino a poco tempo fa sembrava una chimera, diventa nelle opere realizzate da Eduardo Kac un dato di fatto, una possibilità che si è fatta realtà.  L’arte chiusa fino a non molto tempo fa nelle sue azioni metaforiche, nei gesti agonici, nelle scelte provocatorie, sembra uscire dal suo guscio teorico e farsi praxis, trasportando con sé tutte le contraddizioni che si intrecciano nella vita dell’uomo contemporaneo che voglia e sappia usare i mezzi che le scienze più avanzate ed i media globali gli mettono a disposizione.

È di grande interesse l’intervista (qui di seguito) che gli fa un altro artista, Maurizio Bolognini:  uno che nasconde tutto ad uno che mostra tutto.

Intervista di uno, come Bolognini, che fa condividere l’invisible processo della produzione infinita di segni (come vedremo), all’altro, Eduardo Kac, che rende agibile tutto il condivisibile.

Ben prima dell’affermarsi globale del network digitale nella metà degli anni Ottanta, Eduardo Kac, brasiliano ed ormai americano di adozione, viene riconosciuto subito come l’enfant prodige di un’arte che egli ipotizza come riunificatrice di esperienza reale ed esperienza virtuale, spostando nell’arte, già nel progetto Ornitorrinco, a partire dal 1989 e in collaborazione con Ed Bennet, il campo della telerobotica e della telepresenza, consentendo a soggetti collocati in luoghi pubblici o privati l’accesso remoto ad un robot ed alcune teleoperazioni su di esso (spostamenti, direzionalità ecc.) via rete telefonica.

In Essay Concerning Human Understanding, un’installazione realizzata con Ikuo Nakamura nel 1994, promuove un’interazione tra un uccello (a Lexington) e un filodendro (a New York), collegati attraverso la linea telefonica:  un elettrodo sulle foglie della pianta rilevava la sua risposta al canto dell’uccello e la ritrasmetteva sotto forma di suoni elettronici, in una progressione senza fine.

L’accesso remoto, l’azione di modificazione, l’intervento su un oggetto/soggetto passivo predisposto a rispondere1 lo porta presto ad accedere al campo della Biotelematica, con opere che egli definirà inizialmente di Arte transgenica, biglietto da visita per essere inserito nel Dipartimento di Arte e Tecnologia dell’Art Institute di Chicago e poi, come membro dell’Editorial Board, nella redazione della prestigiosa rivista “Leonardo” pubblicata dal MIT, Massachusetts Institute of Technology.2

L’entrata clamorosa sia presso il pubblico internazionale dell’arte, attraverso le riviste specializzate e tutte le grandi esposizioni periodiche ormai diffuse in tutto il mondo, ma anche presso il pubblico allargato dei massa media e dei quotidiani, è legata a due opere in particolare, dall’impatto problematico sulle coscienze universali:  Genesis (progetto che entro il settembre 2007 sarà stato presentato in 33 paesi del mondo) e GFP Bunny (GPF  è l’acronimo di Green Fluorescent Protein, in italiano “coniglio alla proteina fluorescente verde”), volgarmente detto il coniglio verde.

Le opere che appaiono:  un batterio, innestato geneticamente con la proteina GPF, che si modifica visibilmente (proietttato sul muro della galleria, mentre noi da qualsiasi parte del mondo clichiamo inviando un raggio UV che lo trasforma) e un coniglio verde fluorescente che scandalizzano nella loro “letteralità”.  Due esseri viventi geneticamente modificati, esposti alla curiosità della gente.  Ma che vuol dire?  Perché lo ha fatto?  Perché Eduardo Kac ha  coniato il termine felice di Arte transgenica, come se il semplice fatto “mostrare” un essere clamorosamente modificato nella sua apparenza si potesse definire arte?

La realtà è più complessa:  Kac sta in verità operando nel senso di una ibridazione interspecies (naturale, umana, vegetale, animale, minerale), utilizzando processi di spostamento intermediale, interscientifici e intertecnologici (la genetica, la telefonia, la rete web, gli ambiti della scienza fisica, della creazione artistica, della comunicazione globale):  e lo dovrà dire chiaramente.  A mio avviso è per questo ad essere inserito nei luoghi deputati della ricerca in arte.

Lo dirà forse troppo tardi, come vedremo:  la sua intuizione di nuovo protocollo processuale dell’arte apparirà, anche alla sua consapevolezza, solo durante la realizzazione del protocollo stesso.

Genesis e GFP Bunny non sono l’arte:  l’opera dell’arte comincia adesso, con gli scandali e le problematiche risvegliate.

Il progetto Genesis, come ricorda Bolognini nell’intervista, precede la realizzazione del Coniglio verde di nome “Alba”.

Genesis nasce come idea di Arte transgenica.

Eduardo Kac aveva fatto produrre un gene sintetico, convertendo prima in Codice Morse e poi in una sequenza di DNA, un passo della Genesi:  “Let man have dominion over the fish of the sea, and over the fowl of the air;  and over every living thing that moves upon the earth”.

Questo gene “progettato” dall’artista, Genesis, era stato quindi inserito in alcuni batteri e questi erano stati esposti in una galleria d’arte.  Qui, grazie a un’apparecchiatura controllata dal pubblico via Internet, un’ulteriore mutazione biologica dei batteri poteva essere stimolata dall’accensione di una luce ultravioletta.

La “parola di Dio”, dice Kac, lo stigma divino sull’uomo che avrebbe “dominato tutte le specie”, poteva essere cambiato con un semplice click, inviato da qualsiasi parte del mondo, in quanto messaggio incorporato geneticamente nell’essere vivente batterio.  Quella modifica resa possibile dall’apparato predisposto significa “modifica” della parola di Dio, dunque una visione religiosa messa in dubbio dall’uomo stesso che ne è il destinatario.

“Non è più così”.

L’opera ha indubbiamente un funzionamenteo simbolico:  non solo viene “messa in dubbio” la parola biblica (ma in verità è il cambiamento letterale della parola e non il mutamento di senso che viene attivato), ma viene evidenziato il potere che può avere l’uomo comune, il non-esperto, nell’era bio-tecnológica.

La questione è che si visualizza un problema di questa società ipertecnologica contemporanea, si mette in scena una “complessità”, un pericolo, ma sul piano del simbolo o della metafora.  È la dichiarazione di un’ipotesi che l’artista fa:  e cioè che, come egli dirá più tardi, la “vita” non può più essere considerata come un fatto puramente biochimico, ma costituisce un fenomeno complesso, all’incrocio tra credenze, economia, diritto, decisioni politiche, leggi scientifiche , costrutti culturali.  La cosa di cui non si parla mai in questa fase della ricerca di Eduardo Kac è la questione dell’ “altro”, della pretesa trasformazione da pubblico a partecipante (che egli più oltre invocherà) riferita ai soggetti partecipanti all’opera, i quali soggetti non sono attori di giudizio, non sono attori etici.  Eduardo Kac ci pone davanti al dato di fatto del coinvolgimento passivo di questi “banali” individui che compiono un gesto dalle conseguenze incalcolabili, sulla base di un programma che li precede e che loro non conoscono.

Eduardo Kac chiama questa rivelazione “la condizione paradossale del non-esperto nell’era biotecnologia”.

Al di là dell’impertecnologia invocata e messa in campo (quella genetica/comunicativa/virtuale-reale) nulla ci esime da associare l’esperimento di Kac, almeno nella fase prima del suo progetto, a fenomeni storici reali e solo un po’meno tecnologici, da appena mezzo secolo trascorsi:  la questione della mancanza di giudizio e quindi di etica che ha indotto un intero popolo, quello tedesco, ad essere complice del progetto di sterminio dei nazisti.

Kac denuncia tutto questo?  “Usando il gesto più elementare della comunicazione on line - il click - i partecipanti possono modificare le caratteristiche genetiche di un organismo localizzato in una galleria lontana.

(...)  Questa circostanza unica rende evidente l’imminente disinvoltura con cui l’ingegneria genetica potrà scendere fino al livello più ordinario della nostra esperienza”.3

Merito di Eduardo Kac è aver intuito, seppure con inconsapevole incertezza, all’inizio, che in primo luogo di quella imminente disinvoltura si sta trattando.

Il soggetto descritto da Kac, autore di un gesto tecnico secondo una logica binaria (sì o no, più o meno), é un soggetto appunto passivo, che non mette in questione l’evento di cui è attore.

“Ac perhinde cadaver/Kadavergehorsam” dirà Adolf Eichmann, nel processo del 1961 intentatogli dal popolo di Israele in Gerusalemme, giustificando con la cieca obbedienza la sua organizzazione tecnica perfetta dell’eliminazione dell’intero popolo ebraico tedesco.

Si tratta, come il soggetto globale di oggi, un soggetto non esercitato alla riflessione su se stesso e sulle conseguenze del gesto che compie.  Hannah Arendt definirà banale il carattere di quel male assoluto e superficiale.4    Un male programmato da una classe politica che reputava possibile il raggiungimento di quella finalità distruttiva e di potenza attraverso altri soggetti non esercittati al giudizio, e quindi alla valutazione morale di ciò che si stava compiendo.  Si tratta di soggetti “costruiti” e “coordinati a questo”, come la Arendt ha ben spiegato non solo in Eichmann in Jerusalem, ma anche già ne Le origini del Totalitarismo5 da una classe politica ed imprenditoriale che aveva sollecitato il consenso acritico di un popolo, strumentalizzandone l’incertezza e lo sbandamento dovuti alle conseguenze drammatiche della 1 Guerra Mondiale.  La costruzione di quell’acritico consenso ed il progetto di potenza di cui tale consenso avrebbe dovuto e sarabbe stato la esecuzione disinvolta ed amorale,  hanno le basi in un protocollo politico e culturale che sfocia nel totalitarismo nazista, le cui tappe sono state ricostruite proprio da Hannah Arendt appunto nel suo trattato Le origini del Totalitarismo, opera divisa in tre parti:  la prima  è intitolata Antisemitismo, la seconda Imperialismo, la terza Totalitarismo.6

Non è superfluo soffermarsi su questa premessa della nostra condizione attuale e dell’attuale diffondersi globalmente di neo-totalitarismi:  in un ambito così allargato, appare cruciale - anche rispetto all’opera così stimolante di Eduardo Kac - la riapertura di temi come quello etico della responsabilità del soggetto e del possibile nuovo protocollo etico dell’arte (oltre l’estetica) e della sua funzione di costruzione del simbolico.

E straordinario come proprio la prospettiva data da Hannah Arendt ad un momento pessimistico interiore, quando sostiene che la politica nella sua forma migliore dovrà essere il discorso fra uguali.7   L’oggetto di questo discorso sarà il bene comune, le circostanze che possono metterlo a rischio e determinarne la morte, bene che proprio quella prospettiva si riveli essere in Eduardo Kac il tratto meno performativo, ma strutturale, protocollare delle sue ricerche.

Ed è interessante che questa consapevolezza da implicita che era si farà programmatica dall’interno stesso del farsi dell’opera, nascendo dallo scandalo e dal discorso appunto “tra uguali’’.

Il lavoro interspecies, con una orizzontalizzazione dei soggetti, con una dichiarazione della caratteristica di ente/individuo da attribuirsi a tutti gli esseri, siano naturali, artificiali, viventi o non, grazie ad un loro “dialogare” materialmente o virtualmente, è già infatti abbastanza avanti quando uno “scandaloso” inceppamento del dialogo e dell’interazione tra artista ed altri attori dell’opera, gli scienziati in particolare, rende fortunatamente inevitabile l’aprirsi dell’implicito al grande pubblico dei mass media e della comunicazione globale.

È Alba, il GFP Bunny (il coniglio verde fluorescente) la pietra dello scandalo:  richiesto dall’artista, il direttore del Festival di Abvignone Lois Bec contatta l’Institute National de la Recherche Agronomique (INRA) in Francia che acconsente.  Ma alla vigilia del festival, l’allora direttore Paul Vial rifiuta di consegnarglielo:  l’Istituto dichiara che il coniglio transgenico appartiene loro, e che Eduardo Kac non ha nulla a che fare con lo sviluppo dell’ “oggetto di ricerca”.8  L’istituto lavorava sin dal 1998 alla iniezione in ovaie di conigli albini della proteina verde fluorescente, secondo un procedimento sicuro, e finalizzato a tracciare chimicamente alcuni eventi nel corpo del coniglio, come la crescita di tumori o il modo di operare di malattie genetiche.   Il progetto di Eduardo Kac era quello di vivere con il coniglio in una stanza appositamente predisposta per la mostra e dopo di ciò portarselo a casa a Chicago ed inserirlo nella vita della famiglia, insieme alla moglie e alla figlia di cinque anni, Mimi.  Un’interazione tra genetica, organismi ed ambiente, una considerazione dell’animale nuovo individuo, soggetto.

L’argomento del contrasto è legato al “modo d’urso” che verrà fatto dell’oggetto scientifico, al suo “dislocamento” dal suo contesto laboratoriale ad un contesto estetico oppure francamente politico “radicale” (obiezione di altri scienziati ed ambientalisti).  Questa non è un’opera d’arte e non è dell’artista, ma un essere che “trasporta” una traccia finalizzata a svelare un fenomeno altro da se stessa.

Stuart Newman, docente di Biologia molecolare e Anatomia al New York Medical College, argomenta che la natura viene trasformata in “prodotto”, in contraddizione proprio con le idee anarchico-radicali anticapitaliste di cui il mondo dell’arte viene evidentemente identificato.  Salvo poi a precisare:  “ma perché io e i miei amici scienziati dovremmo essere autorizzati a fare cose proibite agli artisti?  Forse perché noi contribuiamo alla comprensione delle cose?  Ma non è così anche per gli artisti?”

Eduardo Kac risponde in parte arrogante:  “I want to talk about transgenics as social subjects, and contextualize their existence as for its own sake, to shift the discourse away from this cliché of Frankenstein and Dr. Moreau”:  (ma che cliché!), in parte e soprattutto anche ridefinendo la sua originaria futuristica idea di Arte transgenica.

Finalmente si apre uno spiraglio, come sempre è avvenuto nella storia dell’arte (come il caso dei nomi attribuito negativamente ma efficacemente agli “Impressionisti” e ai “Fauves”, le “belve”) grazie a una negazione che si fa affermazione.   È vero che il coniglio verde non è un’opera d’arte: si trancia di netto un vecchio protocollo dell’arte/oggetto, come d’altronde l’artista vuole.

Egli attua uno spaesamento dechirichiano (metafisico) dell’oggetto scientifico, ne fa un Ready-maade, e lo trasforma (o almeno crede) da oggetto a soggetto, un nuovo individuo, unico, come egli dice, che entrerà nel gioco di relazione tra uguali, e nel processo di sconfinamento ed ibridazione dei campi di azione e di ruolo dell’uomo.

Infatti dobbiamo dire che nell’infuocato dibattito crescono sia gli scienziati sia l’artista.  Meglio dei critici e meglio dell’artista stesso (che aveva parlato di una totalmente nuova arte che si sarebbe chiamata Transgenica) gli scienziati e gli ambientalisti dicono:  questa non è un’opera d’arte e non è dell’artista, ma un essere che “trasporta” una traccia relativa a fenomeno altro da se stessa:  fa vedere ad esempio cosa avviene durante lo sviluppo di un cancro.

Nel 1998, in un famoso articolo pubblicato su “Leonardo”  Kac eveva definito Arte transgenica una totalmente nuova forma di arte “based on the use of genetic engineering techniques to transfer synthetic genes to an organism or to transfer natural genetic material from on species into another, to create unique living beings” (è la fase di Genesis).  Ora, sei mesi dopo lo scandalo, nella conversazione con Ulli Armellinder, parla dei transgenici “come soggetti sociali” contestualizzandone la loro autonoma esistenza, e della sua nuova finalità che è “deliberatamente provocare le paure, le immaginazioni e le speranze investite sulla genetica e sulle nuove forme di vita”.

È vero che questa idea dell’interazione interspecies, dell’interazione tra genetica, organismi, e ambiente e media virtuali e tecnologici era nella idea originaria di Kac.  Ma chi l’avrebbe potuta veramente “elaborare” questa idea, se ciò non fosse avvenuto nel luogo deputato dell’arte, dove l’osceno apparire del simulacro, con le ben rodate procedure dello spaesamento e dello spostamento di campo, con la delocazione e l’arbitraria significazione, con il cinico “riuso” dei dati delle scienze autoreferenziali e cristallizzate.

Vengono messi in moto i meccanismi dell’attenzione, della riflessione ma non del pensiero ‘critico’.   Per una interrelazione infinita e non gerarchica, Kac pratica l’accettazione infinita.

Forse non c’è un nuovo protocollo dell’arte:  a meno che si consideri tale la sua adesione alla filosofia dell’alterità di Emmanuel Levinas, per il quale l’Altro rimane “sempre distinto dal mio essere, rimane qualcosa di inaccessibile e misterioso che si svela solamente attraverso la comunicazione interpersonale”.  In effetti Eduardo Kac reputa, con Levinas, che l’etica deve guidare necessariamente i rapporti tra gli uomini.  E l’etica si fonda sul riconoscimento della differenza incommensurabile tra gli enti e sulla responsabilità che ogni singolo uomo contrae verso il mistero inaccessibile dell’Altro.  L’Altro di Levinas è per Kac ogni “essere unico” comunque creato.

È il protocollo dell’arte che ha al suo centro le questioni di contesto e di dialogo, senza scopo.  Siamo pronti per una infinita tolleranza, o predisposti all’azione integrata nei nuovi totalitarismi?

 

 

Note

1  Fonte: http://www.ekac.org/ornitorrincoM.html - aggiomatta al 28 Aprile 2005:

    ed inoltre: http://www.ekac.org/ornitorrincoM.html.

2  MIT, Massachusetts Institute of Technology, fonte: http://mitpress.mit.edu/Leonardo.

3  Si veda di seguito l’intervista a Kac di Maurizio Bolognini.

4  Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, Faber & Faber,

    Londra 1963; trad. It.  La banalità del male.  Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano

    1999.

5  Hannah Arendt, The Origins of Totalitarianism, New York 1951;  trad. it,  Le origini del

    totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1967.

6  Nella prima parte la Arendt descrive la costruzione del “mostro” attraverso l’antisemi-

    tismo del XIX secolo, nella seconda parte, l’Imperialismo.  È qui che la studiosa  se chiede

    “se il comportamento político così sfrenatamente aggressivo delle potenze  europee  in

     Africa, nel XIX secolo, non getti luce sul male del totalitarismo del secolo successivo”.

    “ A tale riguardo, - scrive George Kateb - è emblematica l’affermazione di Cecil Rhodes,

     l’imprenditore inglese in Africa:  ‘Annetterei i pianeti se potessi farlo’.

     Hannah Arendt mostra come gli elementi che avevano caratterizzato l’Europa del  XIX

     secolo consentivano e legittimavano l’apertura di qualsiasi possibilità.  In sostanza, era

     stata accreditata la convinzione che il mondo fosse simile ad un pezzo di creta che deter-

     minate élite potevano plasmare a piacimento.  Il mondo appariva, in tale prospettiva, come

     il luogo in cui determinate energie umane potevano dispiegarsi senza badare ai costi  da

     pagare in termini di convenzioni e di giustizia”.  Nella terza parte la Arendt cerca di capire

     cosa, nel XIX secolo, preparò il terreno al sorgere del Nazismo e dello Stalinismo.

     Antisemitismo e Imperialismo, per così dire, giacciono al fondo del male del totalitarismo.

     La combinazione di questi due fenomeni, pur non essendone una causa necessaria, hanno

     reso più probabile il fenomeno totalitario.  “Lo smembramento della Germania,  le ripa-

     razioni di guerra, la terribile disoccupazione, l’inflazione e la depressione,   il generale

     senso di disorientamento nelle masse, il senso diffuso di solitudine, la sensazione con-

     divisa da tutti di essere sopraffatti, trascurati, indesiderati.

     Quando gli esseri umani avvertono questa solitudine, quando si sentono  ‘superflui’,

      superfluous - questo è il termine usato da Hannah Arendt - i leaders scorgono l’oppor-

      tunità di servirsi di essi, di organizzarli, in una massa compatta, in una forza da scatenare

      contro altri”.  La Arendt decide allora di andare come corrispondente del “New Yorker”

      al processo Eichmann a Gerusalemme nel 1961.  Nel 1963 pubblicherà i due  libri  La

      banalità del male e Della rivoluzione nei quali analizza i due fenomeni politici che hanno

      rispettivamente incarnato il male ed il bene: il Nazismo e lo Stalinismo.

7   Si veda inoltre http://www.lettera22.it/showart.php?id=5087&rubrica=12

     Tratto da un’intervista a George Kateb in occasione della pubblicazione del suo libro,

     Hannah Arendt. L’origine del totalitarismo, U.S.A., Università di Princeton, mercoledi

     20 maggio 1992.  George Kateb è professore di Politica e direttore del programma   di

     Filosofia Politica, nonché direttore dell’University Center for Human Values della Co-

     lumbia University.  Ha ottenuto una Guggenheim Fellowship e una borsa di studio della

     Fondazione Rockfeller.  Ha ricevuto nel 1994 il Premio Spitz Book della  Conference

     for the Study of Political Tought.  Lavora come consulente editoriale di Teoria politica.

     George Kateb è autore di alcune opere fondamentali di scienza politica:  Utopia and its

     Enemies; Political Theory: Its Nature and Uses; Hannah Arendt: Politics, Conscience,

     Evil; The Inner Ocean: Individualism and Democratic Culture;  Emerson and   Self-

     Reliance.  É curatore di Utopia e autore di parecchi articoli di teoria politica, in partico-

     lare sul concetto di democrazia moderna.

     Per il testo integrale dell’intervista a George Kateb su Hannah Arendt si veda:

     http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=91#inizio.

8   Cfr: Ulli Armelinder, 31 maggio 2001.

 


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