Originally published in D'ARS (Numero 163/164 - Dicembre 2000 ), pp. 19-21, Milan.


Le forme del vivente

di Pier Luigi Capucci

IN FRANCIA, NEL FEBRAIO di quest’anno, grazie al lavoro teorico di Eduardo Kac, artista brasiliano internazionalmente noto operante con le tecnologie, e all’intervento di alcuni scienziati (Louis Bec, Luis-Marie Houdebine e Patrick Prunet), é venuto alla luce Alba, un coniglio albino, Alba, no-nostante l’apparenza normale, é un coniglio molto speciale: quando viene esposta a una luce particolare risplende di verde, diviene fluorescente. Alba, il cui nome come opera d’arte é GFP Bunny, é stata creala artificialmente utilizzando una mutazione sintetica del gene GFP della fluorescenza della medusa Aequorea Victoria ed é uno dei primi esempi di arte transgenica: la creazione per via genetica di un essere vivente organico complesso, artificiale, a fini artistici.

Alba doveva essere presentata pubblicamente dal 19 al 25 Giugno ad Avignone, all’interno di AVIGNONumérique nella manifestazione Artransgénique, ma le é stato impedito di apparire, é stata censurata. Louis Bec, responsabile della manifestazione, scienziato e importante artista internazionale che ho la fortuna di conoscere personalmente, impegnato nell’affascinante settore della vita artificiale, si è scagliato contro il fatto che questa censura abbia impedito “al publico di avere accesso a sviluppi scientifici e culturali che lo riguardano direttamente” e “di riflettere sulle transformazioni del vivente operate dalle biotecnologie, nei domini dell’arte, dell’etica e dell’economia”.

In qualche maniera ce lo attendevamo, Alba era annunciata. Di nuovo c’è il fatto che sia un “opera d’arte”. Ce lo attendevamo non solo perché da vari anni le biotecnologie e le tecnologie genetiche operano in questa direzione, producendo risultati che trovano amplo spazio sui media. Ma perché, a ben guardare, si tratta di tutto un movimento, di una dimensione culturale che mediante gli strumenti tecnologici procede da tempo in maniera articolata ma ferma nella direzione della ricostruzione della vita.

Dalla fine degli anni’80 - gli atti del primo storico convegno internazionale, a cura di Charles G. Langton, Artificial Life, Reading (Mass.), Addison-Wesley, sono del 1989 - l’apporto della vita artificiale è stato importante dal punto di vista teorico. Ha messo in discussione l’idea dominante che la vita risieda nella sostanza di ciò che considerlamo “vivo”, nella costituzione fisica degli organismi, estendendo il concetto di “vita”.

Prima della vita artificiale, dato che non si conoscevano altre forme di vita che quelle presenti sul nostro Planeta e dato che tutte queste sono di tipo organico (cioè basate su composti del carbonio), si riteneva che la vita potesse essere fondata solo sulla presenza del carbonio, cioè sulla costituzione fisica degli esseri definiti “viventi” (detto in termini bruti: sull’hardware). Era la materia di cui erano fatti gli organismi che definiva la vita. Gli studi sulla vita artificiale e le applicazioni che ne sono derivate hanno invece generato nei computer creature che soddisfano i principi fondamentali della vita (nascere, crescere, riprodursi, morire...) ma che non sono di tipo organico, che sono fondate su algoritmi (in termini altrettanto bruti: sul software).

La vita non è dunque basata sulla composizione fisica, sulla materia degli organismi viventi (l’hardware) bensi, a livello più generale, sulle istruzioni che li governano (il software), sul programma biologico/genetico che ne regola la costituzione fisica e, conseguentemente, ne fonda l’esistenza e il comportamento. La vita non risiede nei materiali ma sono i meccanismi e i processi a determinare il discrimine tra la vita e gli altri fenomeni naturali.

Ma anche varie altre discipline, come la robotica, le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale, sono andate in questa direzione, e, oltre a eliminare vecchi pregiudizi sulla natura della vita, hanno enfatizzato negli artefatti la capacità di adeguarsi al contesto, di rispondere a determinate occorrenze: hanno teso a riprodurre, in definitiva, la dimensione della vita, dell’essere. E, come ho avuto modo di notare in passato anche su D’Ars, l’evoluzione tecnologico-informatica sta producendo processi, oggetti e artefatti, anche di uso comune, sempre più complessi, il cui comportamento tende ad assomigliare a quello degli organismi viventi. Si pensi alle capacità di autoregolazione e di autoprogrammazione di oggetti e dispositivi di uso comune come computer, elettrodomestici, automobili, a giocattoli complessi capaci di simulare alcuni semplici comportamenti degli esseri viventi... Macchine “intelligenti”, materiali “intelligenti”, ambienti “intelligenti”, “intelligenza artificiale”, agenti “intelligenti”, entità software in grado di evolversi, riprodursi e di imparare dai propri comportamenti, sono ormai divenute locuzioni di uso comune (anche se non è affatto detto che vi sia effettivamente qualcosa di “intelligente”). Non muta solo la pelle degli oggetti ma il loro comportamento, questi artefatti e questi processi vanno verso una sorta di esistenza autonoma, una sorta di vita.

Vi è dunque, in definitiva, una convergenza verso la riproduzione della vita: nelle macchine, negli artefatti, nei processi, noi cerchiamo di riprodurre la vita. Tale convergenza può essere diretta oppure derivata. È diretta quando si in terviene attivamente sui meccanismi e sulle modalitá del vivente oppure quando, recependone la primità e l’efficacia, se ne tenta la simulazione o l’emulazione. È derivata quando é la complessità stessa dei processi e degli artefatti tecnologici a condurre nel campo del vivente, a conseguire proprietà analoghe a quelle del vivente. È importante notare, ripercorrendo la mitologia e la storia, come questa ricerca della vita, della creazione della vita, non sia un’esclusiva della nostra contemporaneità bensi sia fra i desiderata più remoti e persistenti dell’umanità.

Tornando ad Alba, ciò che colpisce è che l’arte utilizzi quegli strumenti. Per “nuove tecnologie” si intende in genere “tecnologie basate sull’informatica” e sui suoi derivati. Esistono tuttavia altre tecnologie, come quelle basate sulla biologia e sulla genetica: perché non dovrebbero essere utilizzate dagli artisti? Perchè per alcune tecnologie dovrebbe esservi un veto? Dove sta la contraddizione?

Alba, dunque, come tutta l’arte interessante apre nuovi orizzonti ma anche nuovi interrogativi. Posto che si rispetti la sua esistenza, come pare evidente dal testo che Eduardo Kac ha fatto circolare (cfr.http://www.noemalab.com, nella sezione “ideas”), ciò che ci si chiede é: si ha il diritto di farlo? E, più nello specifico: l’arte, che non possiede per definizione finalità scientifiche, pratiche o utilitaristiche (che in qualche modo potrebbero giustificare la sperimentazione), ha il diritto di farlo? Alba porta in realtà lontano dall’arte, con la sua esistenza provocatoria evidenzia contraddizioni, interrogativi, pregiudizi, ideologie, evoca fantasmi... Anticipa la discussione che impegnerà la nostra cultura negli anni a venire.


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